Ergo Proxy, ovvero: a volte non è bello non capirci una sega

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Me l’ero promesso e ripromesso: per un bel po’ basta con gli anime e i manga. Al mondo ci sono troppi libri, fumetti, film e serie tv per perdere tutto quel tempo dietro a capitoletti settimanali infiniti e a decine e decine di episodi online. Inutile dire che il mio proposito di lasciare perdere per un po’ i fumetti giapponesi per dedicarmi a più nobili attività è durato quanto un bicchierino di vodka nelle mani di un siberiano assetato. O di un taco nel piatto di un messicano. O di una lumaca nel giardino di un francese. Insomma, poco. Qualche giorno dopo aver deciso questo fioretto, mi ritrovai avviluppato nella lettura di Magi, The Labyrinth of Magic di Ohtaka Shinobu, (di cui parlerò un’altra volta), oggi giunto al 290esimo capitolo pubblicato.

Resomi conto che tutta la mia buona volontà ed i miei intendimenti erano vani, presi la decisione di far fruttare il tempo speso dietro ai cartoni nipponici. Non avrei più seguito sciocchi shonen pieni di botte, power-up insensati e maggiorate-samurai, divertenti, ma incredibilmente ripetitivi. Mi sarei dato solo agli Anime con la A maiuscola, quelle perle dell’animazione orientale che anche i critici occidentali non possono fare a meno di riconoscere come autentiche forme d’arte.  Avevo solo l’imbarazzo della scelta. Confrontandomi con altre persone e spulciando le classifiche dei migliori anime di sempre su internet (liste come questa: https://kiddtic.wordpress.com/2012/01/28/my-top-50-anime-of-all-time-50-26/ ), alcuni nomi continuavano a riapparire. Unendo a ciò la mia passione del momento per la fantascienza (probabilmente sulla scia di Star Wars) alla fine decisi di provare con Ergo Proxy.

Le premesse c’erano tutte. In un futuro post-apocalittico, i pochi esseri umani superstiti vivono all’interno di città-cupola, serviti e riveriti dai cosiddetti AutoReiv, androidi progettati per obbedire ciecamente ad ogni loro ordine. La pace di una di queste città, Romdo, viene improvvisamente turbata dalla diffusione del cogito-virus, che colpisce gli AutoReiv e ha l’effetto di sviluppare in essi l’autocoscienza. Una volta che gli androidi acquisiscono consapevolezza di sé, essi tendono a liberarsi dal giogo umano e diventano pericolosi e imprevedibili. L’ispettrice Re-L viene incaricata di indagare sui crimini di questi robot fuori controlli ma, nel corso delle sue indagini, si scontrerà con misteriosi esseri noti come Proxy, che sembrano celare il segreto dell’immortalità, e con l’ancora più misterioso immigrato moscovita Vincent Law

Insomma era facile capire cosa mi sarebbe aspettato: combattimenti acrobatici e sparatorie, robot ed estetica cyberpunk, il tutto condito con una bella spolverata di filosofia, riflessioni à la Asimov sull’uomo e sull’Io, su cosa distingue essere umano e macchina. Sì, peccato che nessuno mi avesse avvisato di quanto questa serie fosse anche immensamente, mostruosamente, vergognosamente NOIOSA.

Dopo i primi episodi, in cui la trama sembra avere un senso e lo spettatore comincia ad essere veramente interessato a cosa sia un Proxy e quale sia il grande mistero dietro a queste creature, l’aspetto filosofeggiante e intellettualoide prende il sopravvento e oscura tutto il resto. Re-L e Vincent partono per un viaggio da Romdo fino a Mosca e da qui in poi inizia il degenero. Ogni episodio della loro avventura picaresca ci presenta un nuovo personaggio, spesso un Proxy, che fa cose strane, filosofeggia senza un perché e poi lascia la scena per non tornare mai più. Ogni capitolo è autoconclusivo, anche le puntate che sembrano avere un finale aperto, o presentare un personaggio che potrebbe tornare più avanti nella storia, in realtà non verranno mai riprese per tirarne le fila. Gli episodi sono talmente casuali e scollegati che spesso ci si domanda se si sta vedendo un episodio vero o un filler. Tutto questo chiedendosi costantemente cosa acciderbolina siano questi Proxy che appaiono, fanno cose e scompaiono, domanda che non troverà risposta fino all’ultimissima puntata, e sarà comunque una risposta non molto soddisfacente.

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Se proprio vi piacciono gli anime e il Cyberpunk, vi consiglio Ghost in the Shell. E’ tutto quello che Ergo Proxy sarebbe dovuto essere e anche di più, dura 80 minuti e, soprattutto, è guardabile.

Ma, tutto sommato, la serie sarebbe stata ancora tollerabile se per lo meno avesse avuto dei personaggi interessanti. Purtroppo non è così: ho odiato tutti, dall’isterica-incazzata-senza-ragione-sabbia-nella-patata Re-L (che dovrebbe leggersi tipo “Real”, wow), alla robot umanoide Pino (che sarebbe l’abbreviazione di “Pinocchio”, wow wow), che dovrebbe essere un po’ la mascotte molto kawaii del gruppo e che invece è una ritardata insopportabile, fino a Vincent Law, completamente inerme e succube degli eventi. La struttura episodica dei capitoli non consente, ovviamente, un’evoluzione psicologica lineare, e anche se ci sono dei cambiamenti nei personaggi dall’inizio alla fine, non riesco a considerarli degni di nota, visto che per tutto il tempo sono rimasti personaggi con i quali non sono riuscito a creare la minima empatia.

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Come avevo letto in un meme: “Maybe she’s born with it, maybe it’s Maybelline”.

Salverei qualcosa di Ergo Proxy? Sì. La costruzione di alcune scene molto ben riuscite, alcuni dettagli, addirittura un paio di episodi. I primi episodi non erano malaccio, e anche alcuni dei seguenti, quando ormai mi ero rassegnato all’autoconclusività delle puntate e cercavo di “godermele” per quello che erano. Ho apprezzato la puntata di Pino in quel mondo simile ad un cartone animato distorto, che poi era una specie di parodia di Disneyland. Altri mi sono apparsi terribilmente fuori luogo, un esempio per tutti quello in cui appariva nientepopodimeno che Adolf Hitler (tra l’altro: uno spasso guardarlo doppiato in tedesco e leggere i commenti dei germanici destabilizzati). Per il resto sono stati 23 episodi di inutile blaterare filosofeggiante di cui avrei fatto volentieri a meno.

 

Il problema è che si sono impegnati con tutte le loro forze per realizzare un prodotto di un certo tipo, intellettuale e profondo. Lo si vede da tutto, dall’impostazione dei dialoghi e dalla sigla, con le citazioni in italiano e latino che passano in sovrimpressione. Così hanno finito per trascurare tutto il resto.

Voto finale: 4.

Ps: ultimamente ho iniziato Neon Genesis Evangelion, sempre per la serie delle chicche dell’animazione nipponica di genere fantascientifico. Non c’è paragone.

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